Tumore Miofibroblastico Infiammatorio (IMT)

Cosa significa tumore miofibroblastico infiammatorio o IMT?

Il tumore miofibroblastico infiammatorio (IMT) è una rara neoplasia di origine mesenchimale che coinvolge i miofibroblasti, cellule con un ruolo chiave nella riparazione dei tessuti e nella risposta infiammatoria. Questo tumore è caratterizzato da una crescita anomala dei miofibroblasti associata a una forte infiltrazione di cellule del sistema immunitario, come linfociti e plasmacellule.

L’IMT è considerato a basso grado di malignità, ma in alcuni casi può comportarsi in modo più aggressivo, con tendenza alla recidiva locale e, raramente, alla metastatizzazione. La maggior parte dei casi di IMT è associata a una specifica alterazione genetica, ovvero il riarrangiamento del gene ALK (Anaplastic Lymphoma Kinase). Questa anomalia genetica ha importanti implicazioni nella diagnosi e nel trattamento della malattia.

Sebbene sia più comune nei bambini e nei giovani adulti, l’IMT può presentarsi a qualsiasi età. Poiché i sintomi dipendono dalla sede del tumore, la diagnosi può essere difficile e spesso avviene in fase avanzata, quando la massa inizia a provocare disturbi significativi.

In quali parti del corpo può avere origine un tumore miofibroblastico infiammatorio?

L’IMT può svilupparsi in diverse sedi anatomiche, poiché i miofibroblasti sono presenti in numerosi tessuti dell’organismo. Le localizzazioni più frequenti includono:

  • Polmoni: è la sede più comune. L’IMT polmonare può presentarsi come una massa solitaria, spesso scoperta incidentalmente durante esami radiologici di routine, oppure può causare sintomi respiratori (tosse, difficoltà respiratoria).
  • Addome e retroperitoneo: il tumore può colpire lo stomaco, l’intestino, il peritoneo e gli organi addominali, causando dolore addominale, gonfiore o disturbi digestivi.
  • Tratto urinario (reni e vescica): l’IMT può causare sangue nelle urine (ematuria) o difficoltà nella minzione.
  • Fegato e milza: in queste sedi può essere spesso asintomatico o provocare dolore addominale e ingrossamento dell’organo coinvolto.
  • Testa e collo: sebbene meno frequente, può colpire le orbite, le ghiandole salivari o altre strutture, causando dolore, gonfiore e limitazione dei movimenti.
  • Tessuti molli e ossa: può svilupparsi in qualsiasi parte del corpo coinvolgendo anche muscoli  o strutture ossee.

Quali condizioni o sintomi devono far insorgere il sospetto di tumore miofibroblastico infiammatorio?

I sintomi dell’IMT dipendono dalla sede in cui il tumore si sviluppa. Tuttavia, alcuni segnali generali che possono far sospettare la malattia includono:

  • Sintomi sistemici: febbre persistente, perdita di peso inspiegabile, sudorazioni notturne e affaticamento, dovuti alla risposta infiammatoria dell’organismo al tumore.
  • Sintomi localizzati:
    • Polmoni: tosse persistente, dolore toracico, difficoltà respiratoria o infezioni polmonari ricorrenti.
    • Addome: dolore addominale, gonfiore, difficoltà digestive, nausea o vomito.
    • Tratto urinario: sangue nelle urine, aumento della frequenza urinaria o difficoltà a urinare.
    • Testa e collo: gonfiore, dolore, difficoltà nella deglutizione o alterazioni della vista (se localizzato nelle orbite).

Poiché questi sintomi possono essere associati a molte altre condizioni, è fondamentale rivolgersi a uno specialista per esami approfonditi in caso di sospetto.

Come avviene la diagnosi dei tumori miofibroblastici infiammatori?

La diagnosi di IMT richiede una combinazione di esami clinici, esami radiologici e analisi anatomopatologiche:

  • Esami radiologici
    • TAC e risonanza magnetica (RMN) per identificare la sede, l’estensione e le caratteristiche del tumore. La TAC può essere utile per identificare eventuali metastasi.
    • PET/TC in alcuni casi può essere richiesta dallo specialista per valutare l’attività metabolica e l’eventuale diffusione della malattia.
  • Biopsia tumorale: fondamentale per confermare la diagnosi. Il campione viene analizzato per identificare la proliferazione dei miofibroblasti e la presenza di infiltrato infiammatorio.
  • Test genetici: circa il 50-90% dei casi di IMT presenta riarrangiamenti del gene ALK. Altre alterazioni genetiche, come le fusioni di ROS1 o NTRK, possono essere coinvolte in alcuni casi. La ricerca di queste anomalie genetiche è utile sia a fini diagnostici che terapeutici.

Nel sospetto clinico di un tumore miofibroblastico infiammatorio, è importante che la biopsia per la diagnosi venga eseguita in centri specializzati nella cura dei sarcomi. Questi centri hanno l’esperienza e le risorse necessarie per eseguire la procedura correttamente e per ottenere una diagnosi accurata. Se la biopsia o la chirurgia vengono eseguite in centri non specializzati nella cura dei sarcomi, è molto importante che il materiale bioptico venga revisionato da un anatomopatologo esperto in un centro di riferimento per i sarcomi.

Quali sono i trattamenti ad oggi disponibili per i tumori miofibroblastici infiammatori?

Il trattamento dell’IMT dipende dalla sede, dall’estensione della malattia e dalla presenza di alterazioni genetiche. Le opzioni includono:

  • Chirurgia: quando possibile, l’asportazione completa del tumore con margini negativi è il trattamento di scelta e può essere curativa.
  • Terapia a bersaglio molecolare: nei casi con anomalie genetiche specifiche, farmaci come Crizotinib (inibitore di ALK e ROS1) hanno dimostrato efficacia nel controllo della malattia. Grazie all’impegno dell’Italian Sarcoma Group (ISG) e delle Associazioni Pazienti, il Crizotinib è adesso prescrivibile nell’ambito della Legge 648/96 per i Pazienti con tumore miofibroblastico infiammatorio ALK positivo in fase avanzata.
  •  Radioterapia e chemioterapia: utilizzate in rari casi, soprattutto se la malattia è avanzata o non operabile.

Il trattamento deve essere personalizzato e discusso in centri specializzati nei tumori rari.

Sono stato trattato per un tumore miofibroblastico infiammatorio, per quanto tempo devo eseguire controlli?

Dopo il trattamento, il follow-up è essenziale per diagnosticare eventuali recidive o effetti collaterali delle terapie. Il programma di controlli varia in base al singolo paziente, ma in generale prevede:

  • Primi 2-3 anni: controlli ogni 3-6 mesi con esami clinici e radiologici.
  • Dopo 3-5 anni: se non si riscontrano recidive, i controlli possono essere diradati a una volta all’anno.
  • Dopo 5 anni: il rischio di recidiva si riduce, ma alcuni pazienti possono continuare con un follow-up più lungo in base alla loro storia clinica.

Il monitoraggio regolare aiuta a garantire una diagnosi precoce in caso di recidiva e a gestire eventuali effetti collaterali della terapia.

 

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